ARCHIPLANO

L' Archiblenda ha un motore di treno al molibdeno giuntato con cernierinicci corti a gomito buam tun tun buam tun tun buam buam tun tun la parte terminale è un ossoplente a legno dai pistoncini di vetro-brivido brasato striii striii striii diii striii sulla biella torsionata si cancangia un sensore biometalla fischiante prinpron prinpron prinpron
L'Archipicchio invece in blocco sta in collo allo scapicchio con due ferri avvitati alla camera di scoppio damdumdum damdumdum dumdum se lo scuoti il pulsante clanga perchè s'è rotto l'attormizzatore praclangclang praclangclang pran sul di dietro la vernice cade a spacchi ed il vento fa brillare i cacciacicci vac-chivac-chivac-vac Insieme fanno un Archiplano straordinario dalla linea turbolesta e perforante prahi calè prahi calè olè la tastiera dei comandi è a schermo liquido informale lucida di zarzo penta-biflettente digitale sgisà sgisà sat il portello meccanato rapido spantana e senza il minimo ronzio s'olìa nel mezzo tran tran tran
E l'Archiplano assemblato straordinario cascavola come un chirottero o una palla se in giù va digrignando appicca lo schedario sui capelli invece slitta con un grido di battaglia di ferraglia
E da ultimo inghiotte un razzo centenario
ruttando come un vero faccitalia
ruttando come rutta la plebaglia!

(Archiplano, 1981)

ACCIPICCHIA!

ACCIPICCHIA, CHE SGARGIANTE LA CREATURA VOLPARLANTE DI ARCHIPLANO! MEZZO UCCELLO ALLA DEPERO MEZZO DRONE LEONARDIANO. BLU E ROSSO ROMBA A TERRA, TWITTA IN CIELO COI VOLANTI FUTURISTI, CON LE MACCHINE CONIGLIE CHE FAN FIGLI. INFORNATE DI PAROLE, FILASTROCCHE PITTURATE, STRAMPALATE, NATE STRANE. ARCHIBLENDA! BIOMETALLA! TURBOLESTO, PERFORANTE COME BECCA, COME PICCHIA L'ARCHIPICCHIO DI ARCHIPLANO!

(Franco Canavesio 12 gennaio 2016)


domenica 13 febbraio 2011

NEL PRESEPIO

Per sottrarmi agli uomini cattivi
Mio padre mi nascose in un presepio
Nella casetta del calzolaio
Stavo come per gioco dapprincipio
Mio padre mi diede un po’ di cibo da pollaio
E mi disse di restarmene in silenzio
Poi uscì e non tornò mai più
Ed io rimasi solo col Bambin Gesù

Finché vennero gli uomini cattivi
In divisa urlando ordini assassini
Li vidi al riparo delle palme
Portare via famiglie con bambini
Però davanti al mio presepio inginocchiati
Pregarono mettendo l’arma giù
Dopo di loro solo letti abbandonati
Con me solo silenzio ed il Bambin Gesù

Finché vennero due bambini biondi
Che parlavano la lingua dei soldati
Non sapevano né il come né il perché
Giocando coi Re Magi inanimati
Dalla tettoia del falegname
Spiavo i loro volti rosei e tondi
E stavo zitto e avevo fame sempre più
Ed ero solo con il Bambin Gesù

Finché dopo giorni giorni ed anche mesi
Di penuria ed immobilità
Caddero le bombe sulla città
Come quando cambia il tempo a primavera
Dalla casetta del mugnaio
Guardavo gli incendi rischiarar la sera
E quando il muro esplose e venne giù
Saltai fuori con il Bambin Gesù

Fui trovato addormentato sul selciato
Con in mano ancora stretto il Bambinello
Non più uomini cattivi mi fu detto
Né presepi che facessero da ostello
E nel ricordo di una fame che bruciava
E di un presepio che non c’era più
La vita dal di dentro m’incitava
Sicché lasciai l’infanzia per la gioventù
Senza sapere che cosa mi aspettava
E che ne avrei fatto del Bambin Gesù


sabato 12 febbraio 2011

CIO’ NONOSTANTE

le promesse non mantenute
le menzogne ripetute
l’andazzo tra il faceto e il serio
e i processi bloccati d’imperio

per tacere dei vari altri eccessi
tipo il conflitto d’interessi
o il sacro rito dell’inchino
per certe donne a lui vicino

o l’additare a capro espiatorio
i comunisti, quando è notorio
che i poverini, come Gesù,
da quella croce non scendono più

o la mediatica copertura
ininterrotta e duratura
cui s’accompagna naturalmente
il vittimismo del finto perdente

poi ricordo all’asino e al bue
l’antica iscrizione alla P2
nonché i dubbi tendenziosi
di fare affari con i mafiosi

il disinvolto sdoganamento
dei neofascisti anche rammento
gli stessi fessi che da questi amici
si sono fatti inghiottire felici

poi la smania di apparire
giovane sempre oltre ogni dire
con il trapianto dei capelli
e la tintura a farli più belli

quanto al cruccio della statura
pur se avara fu madre natura
pone rimedio il re dei pacchi
come sa lui, rialzandosi i tacchi

infine le ville ed il denaro
tutto quel lusso pataccaro
così evidente ed ostentato
e quasi sempre ahimè rubato

se con l’autoguarigione
par già un dio agli italiani
l’obiettivo di domani
è uno solo: resurrezione!


ciò nonostante
il Paese è festante
il consenso aumenta
è il doppio di trenta

ciò nonostante
il Paese è osannante
la gggente è contenta
la fiducia aumenta

ciò nonostante
-me ne accorgo da me-
qualcosa mi sfugge
e non capisco cos’è


UN GIORNO

un giorno tutto questo fango
si muterà in oro
questa disperazione diventerà allegria
le lacrime che oggi piangerai ancora
ti terranno a galla sul dolore
e tutta questa malinconia in cui oggi sembri annegare
asciugherà senza lasciare traccia
tutto questo tormento adesso inesauribile
si trasformerà in una risata dalla quale emergerai intatta
un giorno questa tristezza sarà solo una vaga memoria
forse me ne parlerai ancora una volta una sera prima di dormire
ascoltando l’acqua scendere lungo le grondaie
stringendo le tue gambe alle mie sotto le coperte
e tutta questa sciagura questa terribile inondazione
ti apparirà lontana
tutta questa cupezza sarà come una notte di pioggia
che al levare dell'alba cessa
ed è già un ricordo
al battere del tramonto

venerdì 11 febbraio 2011

RUMORI

I rumori fuggono e ritornano
Nella cisterna della notte
Per un istante sembrano fermarsi
Posarsi nel silenzio dei sogni

I rumori salgono e si rincorrono
Nella cisterna della notte
Per un istante sembrano assopirsi
Spegnersi in un vuoto di silenzio

Poi di colpo riprendono vigore
Virano verso l’alto tagliano le tende
Lasciando sulla strada scie di echi
E gli occhi ciechi nell’ombra della stanza

I rumori affondano e riemergono
Nella cisterna della notte
Per un istante restano sospesi
E poi precipitano in lontananza

Giocano a rincorrersi e a nascondersi
Nella cisterna della notte
Appiattendosi sui muri
Lisciando i vetri alle finestre

Quando uno scompare nel buio
Due si levano dal fondo della via
Tre s’acciuffano la coda
Nello spazio tra viale e condominio

Fischi ronzii l’abbaio d’un cane
I rumori si rigirano su sé stessi
Nella cisterna della notte
Forse è inutile dormire

giovedì 10 febbraio 2011

PASSERA'

passerà questo dolore passerà
passerà questa nottata passerà
ed anche la paura sì che passerà
in quanto tempo non lo so ma passerà

e come soli ci si sente tu lo sai
e come tristi si diventa tu lo sai
se la paura non ci abbandona mai
se il dolore sembra non passare mai

siamo isole nel mare dell'attesa
di qualcosa che ci venga a consolare
di qualcuno che ci stia ad aspettare
quando a casa stanchi ritorniamo a sera

fragili di chiglia fragili di vela
cenci esposti a vento di bufera
delicati come luce di candela
basta un niente che c'inghiotte notte nera

passerà questo dolore passerà
passerà questa nottata passerà
ed anche la paura sì che passerà
in quanto tempo non lo so ma passerà

PUNTI DI VISTA

Quelli che stanno sul treno che corre,
guardando le case lungo la ferrovia,
pensano che non si può restare fermi
mentre il mondo ti sfiora e fugge via

Quegli altri in casa, dalle loro finestre
guardando il treno andarsene via,
pensano a quale assurda follia
sia questo inutile correre in tondo

mercoledì 9 febbraio 2011

ZEPA E’ CADUTA

Zepa è caduta
l’ONU l’ha abbandonata
il Senato USA vota la revoca dell’embargo
sui raid aerei nessuna decisione
la Francia schiera la Legione Straniera
venerdì vertice a Londra
il Papa esprime angoscia
cecchinaggio a Sarajevo
sangue sangue sangue
granate serbe sul mercato
altri bambini vittime dei cecchini
Karadzic e Mladic dichiarati criminali di guerra
nessun soldato americano per operazioni di terra
i difensori di Srebenica
radunati dopo la resa
deportati nei lager serbi
spariti
il Papa esprime il proprio dolore
sangue sangue sangue
stupri di ragazze mussulmane
Caschi Blu catturati come ostaggi
l’esercito bosniaco all’offensiva nei dintorni di Sarajevo
i vicini di casa sono diventati i nemici
mezzi blindati sottratti all’UNPROFOR
il governo italiano mette a disposizione
la base aerea di Aviano
esponenti dell’ONU
manifestano perplessità ad intervenire
in una guerra civile
intanto sul fronte bosniaco
fucili da caccia contro carri armati
l’Europa incapace di gestire la crisi
sangue sangue sangue
soldati ONU umiliati
spogliati delle uniformi e malmenati
artiglieria pesante sulle alture intorno a Sarajevo
la strada del monte Igman
s’inoltra per boschi di rara bellezza
Sarajevo è alla fame
interrotto a Ginevra il negoziato
dal Vaticano un monito accorato
sangue sangue sangue
la Croazia pronta ad intervenire
nella battaglia di Bihac
le enclaves mussulmane sotto assedio
a Sarajevo non ci sono più alberi
i paesi islamici manifestano solidarietà ai mussulmani di Bosnia
i bosniaci fuggono lungo i sentieri di montagna
bande di cetnici saccheggiano i villaggi
pulizia etnica
sangue sangue sangue
i convogli umanitari diretti a Tuzla
fermati alla frontiera per motivi inspiegabili
chiuso l’aeroporto di Sarajevo
migliaia di morti dopo la resa di Srebenica
Boutros Ghali tentenna
Akashi accusato di essere filoserbo
gli aerei NATO intervenuti troppo tardi
pantano balcanico
sangue sangue sangue...

Zepa è caduta
l’ONU l’ha abbandonata

martedì 8 febbraio 2011

IL GATTO CASTRATO

Fu a un certo punto, a metà del viaggio,
ch’ebbi a conoscere un gatto castrato,
con cui divisi parte del passaggio,
conversando con amabile afflato.

Era un gatto colto, anzi, laureato
alla Sorbona a pieni voti a maggio,
un tigrato dal tratto moderato,
distinto quanto occorre al personaggio.

Alle ambasce che confidai dolente
e al mio recriminar pure insistito,
rispose che l’amor non conta niente,

ch’è un inganno e non vale mezzo dito,
aggiungendo, fra il distratto e l’assente,
“da come m’han conciato l’ho capito”.

LIBERI DALLA NOTTE

La luce dell’abat-jour
Disegna sul muro
Ombre di lupi

Qualche futuro
Porge il suo saluto

Qualche passato
Ci passa accanto dinoccolato
E si può anche scherzare
Sul suo ostentato
Fare finta di niente
Sul suo lieto finale

I libri immobili negli scaffali
Soffrono di pagine strette
Nei dorsi eleganti di pelle… la nostra…

Le parole danzano nel cielo della stanza
Come nuvole che passano e s’affollano

Se scenderà la pioggia
Sarà per farci compagnia
Perché nulla può spaventarci
Nulla ci può intirizzire

Oggi che siamo
Liberi dalla notte

...POI FIN QUI SIAMO ARRIVATI

…poi fin qui siamo arrivati,
confluiti in modo un po’ disordinato
in questo luogo, perché questo?, perché oggi?,
forse un nodo, come quello delle scarpe
mal slegato, inestricato, forse un chiodo, mal piantato
in mezzo al muro, che non par così sicuro
per l’approdo, ma da qui all’orizzonte
spazia un mare di pensieri tempestoso
e di fronte vi è un abisso che disgrega, e al confine
dove il mondo si fa eroso si rallenta
per riposo sulla riva, si rivoltano le spine,
si dà un’àncora a fermare la deriva

fino a qui siamo arrivati chissà come,
indovinati dai fortuiti casi, intersecati
dai loro aguzzi nasi senza nome né cognome, misteriosi
nel fiutarci, fili d’erba già dispersi o confusi
in mezzo ai prati della sorte, abili a trovarci,
anche se mimetizzati fra i bersagli ciondolanti,
o sorpresi a fare il punto coi sestanti
degli sbagli, degli errori riordinati,
delle esperienze, in multiple sequenze a posteriori,
e coincidenze, e singolari assenze,
ascensori, calendari, e i giorni come i grani dei rosari,

ormai son dietro, ma davvero ignoravamo
che le vie traverse, i vicoli e le scale,
le partenze con i loro itinerari,
le autostrade, i sentieri e le porte a cui bussare,
le attese, le rincorse, le soste a prender fiato,
i sudori, le notti impallinate, i rimorsi
e un certo eterno rimuginare, un vago ondeggiare
per stare in equilibrio sulla schiuma del passato,
un parlare fitto fitto a tavolino e il rincasare
di spigolo, altro non portavano
che allo scivolo finale, al termine del quale
era già scritto il comune destino
che ci avrebbe fatto incontrare?

LA MIA PRIMA NOTTE DA MORTO

Sono convolato alle mie giuste nozze
Volando da una finestra del quinto piano
In una notte di luna leggera
Un cielo limpido come uno specchio

Non resistendo più alla smania
Mi sono agghindato da cerimonia
Ho detto il mio sì sul trampolino
E tutta Torino mi è venuta addosso

La mia prima notte da morto
L’ho festeggiata insieme agli spiriti
Le sbornie solenni mi hanno salutato
Come un amico tornato da un viaggio

Sapevo ogni nome, ogni situazione
Fin dalla prima di trent’anni or sono
La mia prima notte da morto
Ho lasciato il sangue della verginità

Non sono più vivo? Sono già morto?
Ho perso tutto ma sto dentro le cose
La mia prima notte da morto
Ho telefonato senza pagare

Molti invitati alla festa da morto
A farmisi intorno, a congratularsi
Per fortuna non pretendono il pranzo
Così ho pensato, non pretendono niente

Alla mia festa appaio smembrato
Purtroppo mi manca un pezzo di cuore
Dalla nuca è colato il cervello
Non ho più spazio per i sentimenti

Stranezze della vita da morto!
Che quando il sangue fluisce sotto il sole
Ci ingegniamo di evitare i dispiaceri
Che da morti smaniamo di rivivere

IN QUELL'ORA INSONNE DEL MATTINO

In quell’ora insonne del mattino
In cui la luce si confonde con le ombre
Gli occhi s’aprono ma non mi levo dal letto
Resto immobile
Rifletto:
Non è il tempo ma la pila
A spingere al giro la lancetta
Sul quadrante appeso alla parete
Questa bugia è così bella
Che la chiamo verità
Non è il sole a fare il giorno
Ma il mio corpo che
Ondeggia avanti e indietro nel presente
Né la luna a far la notte
Né le stelle bensì i sogni che mi accecano
Nel sonno
Questa bugia è così dolce
Che me la stringo al cuore
Povero mio cuore! Avvilito dalla malattia d’amore
Dalla normalità del dolore
Non sarà lui a farmi morire
Bensì il subitaneo arresto di ogni cosa intorno a me
Questa bugia è così triste
Che può essere verità
Povero mio cuore! Allibito spettatore
Della memoria mia che si consuma
Della tua leggera come piuma
Non sarà il tempo a dissiparci
Ma il silenzio – finché l’alito
Di un bacio non lo distruggerà
- e questo falso m’è così caro
che non me ne separo

Da queste bugie so il mio nome
E apprendo il tuo
Così tiepido sulla pelle mentre dormi

LA FESTA DEI POPOLI PADANI

Hai visto? C’è la festa
Dei popoli padani
Bada: non del popolo,
Ma dei popoli padani

E allora quanti sono
I popoli padani?
Domanda assai complessa
Ripassa un po’ domani

Domani eccomi qui
Pronto alla risposta
Dunque dato atto
Che i popoli padani
Sono almeno due
Non vedo le ragioni
Per cui non siano tre
O quattro o anche di più

Anzi, tutti gli elementi
Presi in considerazione
Natura e cultura
E gioco del pallone
Posso alfin rispondere
Che i popoli padani
Di certo non son meno
Di qualche e più milione

Si arriva a tal totale
Spiegando i conti arcani:
In ogni condominio
Che conti quattro piani
Ci sono almeno otto
Popoli padani
Un per ogni alloggio
- esclusi invero i cani!

Io e i miei figli essendo
Dunque un popolo padano
Oltre che festeggiare
Difenderci dobbiamo
Da quell’infame popolo
Che sta su noi di un piano
Ci scopano le briciole
Son sporchi e fan baccano

Vedrai che bella festa
Quando li pigliamo
Sarà la bella festa
Di un popolo padano

IGIENE DEL MONDO

“All’assalto!” gridavano i tenenti
e la truppa di trincea scattava avanti
e da dietro fischiavano i sergenti
sparando ai renitenti ed ai vaganti

e l’aria è fulminata di scintille
schegge voci urla ed esplosioni
un minuto, quanti morti, più di mille
chi seduto, chi in ginocchio, chi carponi

le ondate regolari dei plotoni
si frangono in rivoli di schiuma
defluenti negli anfratti e nelle buche
compiuti cento passi nella bruma

tenendo a tutti i costi giù le nuche
davanti ai fitti reticolati
non si passa non si passa neanche un metro!
e davanti i superstiti inchiodati

lì davanti ai nidi fortificati
si odono lamenti lancinanti
nella terra di nessuno c’è qualcuno
una brigata di disgraziati fanti

...

da lontano il generale osserva
e rivolto all’aiutante dice “guardi!
come faremo a vincere la guerra
con questa massa di vili e di codardi?”

LE ORE DELLA NOTTE

Molti anni fa le ore della notte
Solo esistevan perché la vigilia
Potesse superar le poche miglia
Di letargico sonno di marmotte

Che divideva le rive interrotte
Della veglia e così farne pariglia
Benedetta dai baci di famiglia
E da curiosità sempre più ghiotte.

Ora invece la notte è un nero pozzo
Nel cui fondo mi rotolo da insonne
Con la cena ancora ferma nel gozzo.

La notte è un labirinto di colonne
Dal quale il mondo mi appare a singhiozzo
Qual sogno lieve di uomini e donne.

NON I TRENTINI, NON I FRANCESI

non i trentini,
non i francesi
ma noi soltanto,
noi piemontesi,
abbiamo monti
che non fanno sconti
strette vallate
che salgono a picco
dai piccoli imbuti
dei fondovalle
sentieri tracciati
con squadra e righello
che vanno su dritti
per i boschi inclinati

non i trentini,
non i francesi
ma noi soltanto,
noi piemontesi,
abbiamo salite
che levano il fiato
fin dall’inizio
della partenza,
e quando il pendio
giunge all’alpeggio
e sembra addolcirsi
è solo un inganno
ché subito dopo
riprende a tirare
e fino al colle
è solo fatica
con l’ultimo tratto
quasi verticale

non i trentini,
non i francesi
ma noi soltanto,
noi piemontesi,
abbiamo vallate
così tanto corte
che dalle creste
si vede ancora
nitida in basso
la grande pianura
alberi e case
fabbriche e strade
così vicina
che ci si chiede
com’è possibile
che sia così

non i trentini,
non i francesi
ma noi soltanto,
noi piemontesi,
noi rassegnati
a queste salite,
a questi sudori,
a queste fatiche,
senza mai pausa,
requie o intervallo,
quando si è in ballo
bisogna ballare
andare avanti
senza mollare
questo dai vecchi
ci è stato insegnato

come ai trentini
come ai francesi
così anche a noi
noi piemontesi

CARO VITTORIO

Caro Vittorio, tu che hai scritto la Costituzione,
di certo ricordi il grande dibattito sull’istruzione
Ebbene, ti spiacerà sapere che fra non molto
La scuola pubblica farà la fine dell’asino morto

Caro Vittorio, poi toccherà alla magistratura
Essere normalizzata così da non fare paura
Qualche modifica del tutto innocua all’apparenza
Finché non perderà del tutto la sua indipendenza

Caro Vittorio, poi verrà il turno dei sindacati
Da che mondo è mondo i conti in sospeso van regolati
Dopo l’istituzione dell’albo dei sindacalisti
Si farà sciopero previa richiesta nei casi previsti

Caro Vittorio, al termine di queste grandi riforme
La nostra Repubblica somiglierà a un malato che dorme
Noi come lei senza più cuore sedati e pazienti
Vivremo per sempre vivremo per sempre felici e contenti

Caro Vittorio, tu che hai scritto la Costituzione
Hai fatto in tempo a vedere l’avvento del nuovo padrone
Ed a capire che la Repubblica che sognavi tu
Non è mai esistita se non nei ricordi di gioventù



A Vittorio Foa, novembre 2008

lunedì 7 febbraio 2011

GLI ORTAGGI

si viaggia a settimane alterne
col cuore volto al giorno del raccolto
aspettando che la pioggia bagni l’orto
dove è seminata la verdura

da una settimana all’altra
marciscono patate e pomodori
languono le rape coi fagioli
e i cavoli ingialliscono al sole

la terra arida spezza la cicoria
e il prezzemolo penzola da idiota
gli spinaci non hanno più memoria
e si rintana sul fondo la carota

la melanzana, a sé stessa abbandonata,
perde la buccia così viola e dura,
anche i finocchi non fanno più paura
e la lattuga è molle ed emaciata

s’è allentato il ritmo di stagione
manca il sudore della paziente cura
che misura lo spessore del melone
e soppesa il peperone che matura

così l’incolto prende il sopravvento
e l’ortica torna a dominare
e le cipolle perdono le lacrime
che toccherebbe a lor di suscitare

solo il silenzio ristagna sul terreno,
e canta come sa la sua canzone
di cui gli ortaggi –muti di natura-
non sanno dare alcuna spiegazione

QUARANT'ANNI

Che belle son le donne a quarant’anni,
Lo ignora chi l’età, questa, temeva,
Non il vento, che gli abiti solleva,
Non la pioggia, che scivola sui panni,

Non il sole che sorge ai compleanni
E asciuga quel dolor che dispiaceva,
Non la luna, che di notte si leva,
Recando sogni amorosi e tiranni.

Che bella è lei, che amo senza inganni
Ed il cui nome al poeta piaceva,
Così ne scrivo, spero senza danni,

Sol per dir, per quel che qui rileva,
Che il più bel fiore sboccia a quarant’anni
Ed ogni mia delizia è sua allieva.

CARTA CANTA

Carta canta
E carta straccia
Carta sviene nel parcheggio
O perde un braccio
Stritolato dal cilindro
Carta cade dal ponteggio
Carta inciampa
Carta scivola nel pozzo
Si sfracella sulla rampa
Sei due sei
Carta canta

Carta canta
E carta straccia
Carta perde
Anche le braccia
Stritolate dal cartone
Carta perde anche la faccia
Carta Carmine
Professione
Manovale muratore
Carta grande cuore
Che non muore

Carta inciampa
Come un bamba
Carta cade dalle scale
Carta è leso ad una gamba

Carta canta in ospedale
Ma non sta poi così male

Carta sfonda il lucernario
La cintura –che figura!-
Mostra sintomi d’usura
Forse è lunga forse è rotta
Carta plana sul cemento
Carta avverte una gran botta
Carta è stanco si è ferito
Al secondo e terzo dito

Il mandrino malandrino
Sta girando qui vicino
E l’astuta piegatrice
E l’infida imballatrice
E’ un’attrice
Finge un guasto
E Carta crede
Tocca un tasto
Senza dire una parola

E Carta canta
A squarciagola
Quando vede il suo piede
Sanguinante
Carta Carmine
Stai attento
Tu non sei così importante
Come il trapano che gira
Stai contento, c’è l’aumento
Contrattuale
Tira un’aria madornale

E’ la sega circolare
Che s’infila
Nel polsino della giacca

Carta canta e suda mentre
Tiene in piedi la baracca

Il simpatico flessibile
Carta canta irriducibile
oggi è di buon umore
Perché dar la colpa al cromo
Se ha scoperto che un tumore
Lo consuma a poco a poco?

Sei due sei
Povero lei
Caro Carta
Stia al gioco
Caro Carmine
Come canta
Professione
Operaio manutentore
Grandi impianti
Tubi lunghi
Come i musi
Quando viene Epifania
Malattia
Professionale
Carta grande cuore
Che non muore

Carta incanta
Col suo eloquio da oratore
Carta canta
Ha un futuro da tenore
Nel frattempo
E’ all’ospedale
Ma non sta
Poi così male