ARCHIPLANO

L' Archiblenda ha un motore di treno al molibdeno giuntato con cernierinicci corti a gomito buam tun tun buam tun tun buam buam tun tun la parte terminale è un ossoplente a legno dai pistoncini di vetro-brivido brasato striii striii striii diii striii sulla biella torsionata si cancangia un sensore biometalla fischiante prinpron prinpron prinpron
L'Archipicchio invece in blocco sta in collo allo scapicchio con due ferri avvitati alla camera di scoppio damdumdum damdumdum dumdum se lo scuoti il pulsante clanga perchè s'è rotto l'attormizzatore praclangclang praclangclang pran sul di dietro la vernice cade a spacchi ed il vento fa brillare i cacciacicci vac-chivac-chivac-vac Insieme fanno un Archiplano straordinario dalla linea turbolesta e perforante prahi calè prahi calè olè la tastiera dei comandi è a schermo liquido informale lucida di zarzo penta-biflettente digitale sgisà sgisà sat il portello meccanato rapido spantana e senza il minimo ronzio s'olìa nel mezzo tran tran tran
E l'Archiplano assemblato straordinario cascavola come un chirottero o una palla se in giù va digrignando appicca lo schedario sui capelli invece slitta con un grido di battaglia di ferraglia
E da ultimo inghiotte un razzo centenario
ruttando come un vero faccitalia
ruttando come rutta la plebaglia!

(Archiplano, 1981)

ACCIPICCHIA!

ACCIPICCHIA, CHE SGARGIANTE LA CREATURA VOLPARLANTE DI ARCHIPLANO! MEZZO UCCELLO ALLA DEPERO MEZZO DRONE LEONARDIANO. BLU E ROSSO ROMBA A TERRA, TWITTA IN CIELO COI VOLANTI FUTURISTI, CON LE MACCHINE CONIGLIE CHE FAN FIGLI. INFORNATE DI PAROLE, FILASTROCCHE PITTURATE, STRAMPALATE, NATE STRANE. ARCHIBLENDA! BIOMETALLA! TURBOLESTO, PERFORANTE COME BECCA, COME PICCHIA L'ARCHIPICCHIO DI ARCHIPLANO!

(Franco Canavesio 12 gennaio 2016)


martedì 8 febbraio 2011

...POI FIN QUI SIAMO ARRIVATI

…poi fin qui siamo arrivati,
confluiti in modo un po’ disordinato
in questo luogo, perché questo?, perché oggi?,
forse un nodo, come quello delle scarpe
mal slegato, inestricato, forse un chiodo, mal piantato
in mezzo al muro, che non par così sicuro
per l’approdo, ma da qui all’orizzonte
spazia un mare di pensieri tempestoso
e di fronte vi è un abisso che disgrega, e al confine
dove il mondo si fa eroso si rallenta
per riposo sulla riva, si rivoltano le spine,
si dà un’àncora a fermare la deriva

fino a qui siamo arrivati chissà come,
indovinati dai fortuiti casi, intersecati
dai loro aguzzi nasi senza nome né cognome, misteriosi
nel fiutarci, fili d’erba già dispersi o confusi
in mezzo ai prati della sorte, abili a trovarci,
anche se mimetizzati fra i bersagli ciondolanti,
o sorpresi a fare il punto coi sestanti
degli sbagli, degli errori riordinati,
delle esperienze, in multiple sequenze a posteriori,
e coincidenze, e singolari assenze,
ascensori, calendari, e i giorni come i grani dei rosari,

ormai son dietro, ma davvero ignoravamo
che le vie traverse, i vicoli e le scale,
le partenze con i loro itinerari,
le autostrade, i sentieri e le porte a cui bussare,
le attese, le rincorse, le soste a prender fiato,
i sudori, le notti impallinate, i rimorsi
e un certo eterno rimuginare, un vago ondeggiare
per stare in equilibrio sulla schiuma del passato,
un parlare fitto fitto a tavolino e il rincasare
di spigolo, altro non portavano
che allo scivolo finale, al termine del quale
era già scritto il comune destino
che ci avrebbe fatto incontrare?

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