il problema non è che sia già successo
con buona pace dei morti
che non si danno pace
di essere stati accantonati
il problema è che succederà ancora
infinite volte
e già non c’è pace per i morti che verranno
che già sanno che saranno accantonati

ACCIPICCHIA, CHE SGARGIANTE LA CREATURA VOLPARLANTE DI ARCHIPLANO! MEZZO UCCELLO ALLA DEPERO MEZZO DRONE LEONARDIANO. BLU E ROSSO ROMBA A TERRA, TWITTA IN CIELO COI VOLANTI FUTURISTI, CON LE MACCHINE CONIGLIE CHE FAN FIGLI. INFORNATE DI PAROLE, FILASTROCCHE PITTURATE, STRAMPALATE, NATE STRANE. ARCHIBLENDA! BIOMETALLA! TURBOLESTO, PERFORANTE COME BECCA, COME PICCHIA L'ARCHIPICCHIO DI ARCHIPLANO!
(Franco Canavesio 12 gennaio 2016)
il problema non è che sia già successo
con buona pace dei morti
che non si danno pace
di essere stati accantonati
il problema è che succederà ancora
infinite volte
e già non c’è pace per i morti che verranno
che già sanno che saranno accantonati

l’amore al tempo dei sessanta
è fragile
diverso da come ci si aspetta
a volte dura un sogno e poi declina
a volte notti intere ed ogni anno
va sempre più di fretta
e se prende velocità ondeggia
e bisogna sistemare con cura
la zavorra nella stiva
o per dirla in maniera più elegante
il bagaglio personale
se non si vuole che l’inerzia
prenda il sopravvento nelle curve
l’amore al tempo dei sessanta
è fragile è una pelle
che non nasconde più le vene
ma i baci che dispensa
sono uguali a quelli dei vent’anni
e questa è la sua forza immensa
lasciavi impronte sulla neve o nel fango
sulle rive dei laghetti di montagna
avara e generosa a un tempo
la terra delle Terre Alte
le zampe si muovevano leggere
nella corsa su e giù per i pendii
dove alta era l’erba e scura la pietra
e le marmotte fischiavano per sfida
sei passata come un alito di vento
nell’universo che tutto ascolta e nulla ode
sei passata come succederà anche a noi
che viviamo di stolta intelligenza
ora sciolta è quella neve marcata dai tuoi passi
e il fango si è ricomposto in altre forme
tu non esisti più e quanto è triste ricordarlo
ma dentro di me hai lasc
iato
un’impronta incancellabile
che solo a te appartiene
la purezza con cui guardavi il mondo
l’innocenza con cui lo hai vissuto
sono doni che invano io rincorro
come un condannato il tempo che gli resta
tu li hai conservati intatti dentro di te
fino all’ultimo sguardo d’amore
all’inizio fu un bollore sotterraneo
silenzioso e vagamente australe
finché il fischio del bollitore
spaccò il cielo come una roncola
affilata e fu da lì che nacque
l’universo di diavolerie tessili
e meccaniche che sorsero
con clamore inusitato e impreveduto
ahi, tenerle a bada, che fatica!
le formiche che giocavano
a ping pong facevano
un rumore insopportabile
i martelli che battevano sui chiodi
migliaia di teste in gommapiuma
come le motoseghe ultimo modello
in un oceano di silenzio stellare
persino una locomotiva che comparve
nel salotto e non ci stava
brezze di tessuti colorati
si atteggiavano a corridoi aerospaziali
non erano bandiere ma segnali
indicanti le onnidirezioni
chi sapeva diluirle e distillarle?
non distrarti lettore, che a ben vedere
hai ragione tu si trattava di altro
forse più sanguinolento
forse addirittura più lento, non lo so,
e neanche tu lo sai e chi non sa tace
ma il problema di cavarne un senso
rimaneva
ci guardammo ma nessuno era capace
ci guardammo senza veder nessuno
e ci toccò allungarci come prima
più di prima e molto più del solito
i passi galleggiavano sul pavimento
mentre i piedi vi sprofondavano
e nessuno ci capiva niente
se fosse miele o marmellata o colla
io battevo la testa nelle ante degli armadi
per risolvere tutti i dubbi
e dare un senso definitivo alla mia vita
dimenticando gli occhiali in cantina
tu ridevi io un po’ meno
quindi tutto logico a pensarci
io ridevo tu un po’ meno
che buffacchi quegli sbuffi
come creste sulla testa
i capelli colorati ti donavano, sicuro
ora ridevamo entrambi
persino il tavolo assumeva
una curiosa forma curvilinea
i fedeli mattoni di casa tu cissavi
lanciandoti in gorgheggi da pirata
il mondo storto che finalmente
si mostrava superando
la sua naturale timidezza
portando notti luminose
e giorni grigi, se non neri
cascate di parole seminate
che scrociavano dai muri accidenti!
e corde tese dalle più enormi
alle più minute su cui camminare
in equilibrio e le parole
a volte difficili ma spesso no
dunque non era strano
che tu le cantassi usando melodie
da me inventate battendo
i barattoli vuoti del caffè
che giorni capovolti, quelli!
ora, per quanto mi sforzi,
non riesco a ricordare
nulla di quello che ho sognato
eppure al tatto
la psiche è ancora calda
e quando il muso della barca di lamiera
s'affaccia
sul fiume inarrestabile d'asfalto
all'inizio di ogni giorno
quanti autoarticolati lunghi quindici metri
e lenti ma non tanto
incontrerà oggi questo muso di lamiera
quanti calcoli spaziali
quanti scali in terza per lo spunto
per non andare in mille pezzi
a ogni sorpasso
quanti incroci e semafori e precedenze e rotonde
e colleghi irritanti da lasciare indietro
al proprio destino di lentezza
mentre la fretta spazza via i residui dubbi
all'inizio di ogni giorno

procedo nella nebbia che rende ciechi
un muro oltre il quale non c'è nulla
l'autostrada è lunga solo cento metri
un ultimo modello mi sorpassa
a una velocità raccapricciante
e sparisce dentro il nulla della nebbia
pazzo! mi dico mentre mi cavo gli occhi
lasciandomi alle spalle nella nebbia
un'utilitaria sgangherata e poi un'altra
tutti i giorni sono immerso nella nebbia
se si dirada è solo per qualche istante
e io vedo ma poi non ricordo niente

il cane che la sorte mi ha donato
punta il muso verso terra
non al cielo e alle stelle
il suolo esiste, il cielo no,
che odore ha? non lo sa
il cane, che non ode né vede
olfatto si chiama il suo unico
autentico senso
punta il muso verso terra
verso l'erba, i vermi, i bruchi,
che il verso gli rifanno
ad ogni compleanno
per loro quanto è grande l'universo
per il cane è un bosco in cui si perde
un bosco umido di verde
il mio fischio lo riporta alla realtà
e trotterella verso me
con lentezza e indolenza
con pazienza tanta quanta
ce ne occorre per sapere voler bene
senza chiedersi il perché